Verbasco (Verbascum thapsus L.): il suo utilizzo nella tradizione popolare
Pubblicato il Luglio 6, 2015 - Benessere
Il Verbascum thapsus L., appartenente alla famiglia delle Scrophulariaceae è comunemente conosciuto con il nome di Tasso barbasso, ma spesso citato come barbaraschio, barbaresco, tasse barbasse, tass’, barbalase. Il Verbascum thapsus, qui descritto, è il più comune, ma esistono anche altre specie: V. phlomoides, V. thapsiforme e V. sinuatum.
Una volta fiorito il Verbasco non passa inosservato perché le sue spighe di fiori gialli svettano su lunghi steli che possono arrivare fino a 2 metri di altezza.
La pianta è biennale, molto grande e nel primo anno emette le grandi foglie a rosetta, molto tomentose, mentre la primavera del secondo anno i fusti, generalmente semplici fino all’altezza dell’infiorescenza.
I fiori sono grandi e gialli, riuniti in numerose infiorescenze cimose, distribuite più o meno regolarmente lungo un grande asse fiorale. Fiorisce prima il fiore terminale della piccola cima inferiore, poi i fiori terminali delle infiorescenze superiori e allo stesso tempo i fiori laterali inferiori, mostrando così un’infiorescenza apparentemente disordinata. Il calice è diviso in cinque lacinie strette, la corolla è imbutiforme e larga circa due centimetri.
I frutti sono capsule lunghe circa un centimetro, i semi sono grigi e piccolissimi.
Le foglie radicali sono lunghe fino a trenta centimetri, larghe dodici centimetri, ellittiche, ristrette alla base. Le caulinari sono lungamente scorrenti sul fusto, e si rimpiccioliscono man mano che si sale lungo il fusto. Tutte le foglie sono piuttosto rigide, piane, con margine intero o a denti piccolissimi, nascosti dalla fittissima peluria della foglia. I peli sono bianco-grigiastri, lunghi un paio di millimetri o poco più, ramificati.
I fiori possono essere raccolti quando sono ancora riuniti nelle piccole infiorescenze anche se sono preferite le sole corolle, che sono di colore giallo, coperte di peli biancastri, ramificati come quelle delle foglie, ma più brevi. Le corolle posseggono 5 stami, i 3 superiori con filamento più breve, incurvato, coperto da peli gialli, lunghi e molli, dal quale sporgono le tre antere di forma reniforme; mentre i 2 stami inferiori hanno un filamento dritto, glabro o poco tomentoso.
Il verbasco prospera su terreno secco, pietroso, ben drenato e in pieno sole. La pianta si propaga per seme e in condizioni favorevoli, si auto insemina. Gran parte del verbasco utilizzato in erboristeria proviene da piante coltivate in Bulgaria, Repubblica Ceca ed in Egitto.
La droga è rappresentata da foglie e fiori che contengono mucillagine, saponine, fitosteroli e tracce di olio essenziale. L’uso principale è quello espettorante, dovuto alle saponine, mentre le mucillagini riescono a sfiammare le mucose irritate. I flavonoidi esercitano un’azione blandamente diuretica e i glucosidi relativi sembra abbiano un’attività antinfiammatoria.
La tisana di Tasso barbasso è un vecchio rimedio contro tosse o raffreddore, apprezzata come mucolitica ed espettorante. La bevanda va scrupolosamente filtrata attraverso un panno a maglia fitta, per rimuovere dal liquido anche il minimo residuo di lanugine, potenzialmente irritante.
Nell’uso popolare italiano oltre alla tisana l’utilizzo della pianta era esteso anche all’uso esterno sia per curare l’acne, sia per risolvere le mastiti, sia come cosmetico per rendere i capelli brillanti ed esaltare il colore biondo. Inoltre i fiori erano la base per la preparazione di un unguento per curare i geloni, mentre le foglie fresche erano poste come cicatrizzanti sulle ferite.
Al Verbasco non mancano i soprannomi: le spighe della pianta somigliano a bastoni, perciò in inglese vari nomi comuni fanno riferimento a questa caratteristica (shepherd’s club cioè “bastone del pastore”). Un altro nome inglese cioè candlewick plant (pianta dello stoppino) è riferito ad un suo uso pratico: infatti durante il Medioevo la lanugine delle foglie e steli veniva raccolta ed essiccata per ricavare stoppini delle lampade. Un altro nome popolare è quello di “pianta di velluto” per la sofficità delle foglie, che ricorda le vellutate orecchie di un coniglietto, ma anche “candela del re” (in Germania) perché al tempo dei Romani il suo alto fusto secco veniva usato come torcia. In passato le foglie venivano usate come carta igienica d’emergenza (da tener conto quando si va per boschi) oppure messe nelle scarpe per alleviare la fatica nel cammino.
Una credenza popolare faceva credere che si potesse curare l’itterizia urinando sopra la pianta di verbasco; durante la minzione era indispensabile che il malato ripetesse la seguente frase: “tasso barbasso, io ti do il mio sapore e tu mi dai il tuo colore”. In un’altra variante, della stessa problematica, il malato doveva ripetere per 3 mattine successive: “Barbalase, barbalase, sicco te trovo e sicco te lasso, aredamme ‘u colore mia, mentre te do ‘u sapore mia”.
ANJA LATINI
Erborista iscritta al RNEP n. GLT0018S
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