Le erbe selvatiche di fine inverno
Pubblicato il Ottobre 1, 2014 - Benessere
Erbe officinali selvatiche: come riconoscerle, raccoglierle e…mangiarle!
Quando i campi sono ancora brulli, e l’ultima neve si sta sciogliendo, i raccoglitori di erbe selvatiche mangerecce sanno che proprio tra le erbe secche e bruciate dai rigori invernali ed il terreno ancora bagnato e freddo, stanno spuntando prelibate erbette.
Perché non dedicare qualche ora a una sana e rinvigorente passeggiata in natura , con lo scopo di fare la spesa proprio lì, nel campo?
E allora si parte, armati di solo cestino e coltello, e respirando la fresca aria che racconta e anticipa il desiderato ritorno della primavera!
La natura ci offre in questo periodo le erbe che più si adattano alle esigenze del nostro corpo in questi giorni: dopo il lungo inverno, in cui la vita tende ad essere sedentaria ed al chiuso e l’alimentazione spesso contiene grassi e zuccheri, il nostro corpo ha bisogno di rinnovarsi e ricambiarsi, proprio come fanno ora le piante attorno a noi.
Questo è l’aiuto che ci danno le erbe selvatiche di questi giorni e ce lo ricordano con il loro gusto schiettamente amaro, dovuto a principi attivi che stimolano il lavoro del fegato, e che quindi ci aiutano ad eliminare le tossine accumulate durante il periodo invernale, a stimolare il metabolismo dei grassi ed il rinnovamento cellulare.
Molte di queste erbe sono normalmente considerate malerbe perché infestanti di orti, colture e presenti in ambienti marginali e incolti.
Si raccolgono tagliando alla base della rosetta basale, infilando la lama del coltello dentro la terra per poter tagliare anche parte della radice fittonante.
Naturalmente è bene evitare di fare una raccolta devastante, ma anzi cercare di tutelare le nostre piante, anche perché così ne avremo sempre a disposizione.
Possono essere mangiate crude, specie se raccolte dopo i geli invernali, quando sono piccole ma tenerissime, o anche soffritte in padella con olio e aglio, o ancora (e questa una ricetta tradizionale della zona emiliana molto gustosa anche se forse non proprio così leggera per il fegato), condite da crude con pancetta bollente cotta assieme ad aglio ed aceto…una vera prelibatezza!
Quali sono le erbe selvatiche di questo periodo?
Le erbe selvatiche tipiche di questo periodo, sono erbe amare e, spesso, vengono denominate “radicchi dei campi”.
Tra queste troviamo i teneri germogli primaverili di molte piante come la bella Pratolina (Bellis perennis).
La comunissima Aspraggine (Picris hieracioides) e la Cicerbita (Sonchus oleraceus, – S.arvensis – S.asper) detta anche crespino, crespigno o attaccalepre perché ricercata dalle giovani lepri, ottima sia in insalata sia, quando è più avanti nel tempo, scottata in acqua bollente e poi condita.
Non possono mancare poi i famosi Cioccapiatti (Crepis sancta), un’erba molto comune nei prati e negli incolti, tenerissima e dolciastra nel periodo invernale e gli Striccapugni (Crepis vesicaria) così chiamati perché, una volta raccolti, hanno le foglie che si chiudono a pugno attorno alla radice.
Rientrano nella mescolanza anche la Barba di becco (Tragopogon pratensis) o Salsefrica, ottima sia cruda che cotta
oltre al gustosissimo Piattello (Hipochoeris radicata) e naturalmente alla squisita Grassagallina (Valerianella holitoria), con i tanti nomi italiani di gallinella, dolciolina o radicchiella dei campi, un’erbetta tenera e dolce presente subito dopo i primi geli e ottima in insalata tanto da essere anche coltivata negli orti.
Meno amato, ma non per questo meno buono, è il Tarassaco (Taraxacum officinalis), chiamato anche dente di leone o soffione, e tristemente noto anche come piscialetto e quindi da tanti evitato per l’ingiusta credenza a cui fa riferimento il nome, ma preziosissimo alleato per le proprietà disintossicanti e protettrici del fegato.
Non manca poi la Cicoria (Cichorium intybus), il radicchio capostipite delle insalate coltivate, dai bei fiori lilla che durano un solo giorno e dal sapore amaro stimolante le funzioni dello stomaco e del fegato.
La maggior parte di queste erbe appartengono alla famiglia delle Asteraceae o Compositeae, la famiglia che annovera famose presenze come la Margherita, il Girasole e la Gerbera, ma anche le varie Cicorie ed insalate dell’orto.
Tutte hanno in comune la caratteristica di avere il fiore composto da tantissimi minuscoli fiorellini: ogni infiorescenza, infatti, è formata da centinaia di piccoli e umili fiori che, così radunati, diventano molto più attraenti per gli insetti impollinatori.
Queste erbe buone sviluppano, durante il periodo invernale, una rosetta basale di foglie, più o meno carnose, più o meno, allungate, più o meno lobate o frastagliate e, spesso, una radice a fittone, che, come nel caso del Tarassaco e della Cicoria, viene bollita e mangiata condita con olio e sale, oppure tostata e macinata per fare un amaro succedaneo del caffè.
In primavera, poi, le foglie alla base progressivamente perdono vigore e si seccano perché tutta l’energia della pianta è spesa per produrre un’infiorescenza, gialla nella maggior parte delle specie.
Ecco perché ci sembra che, passato l’inverno, questi squisiti radicchi di campo scompaiano: privi delle loro “appetitose” foglie, ma con dei vistosi fiori, diventano veramente irriconoscibili!
Il loro ciclo termina poco più avanti quando, a seguito dell’impollinazione, le centinaia di fiorellini si trasformano in centinaia di piccoli semi.
Avviene così, ad esempio, nel Tarassaco, dove i semi sono attaccati ognuno ad un piccolo “paracadute” per favorire la loro diffusione, formando il noto soffione.
I getti delle foglie basali ritornano poi a comparire in autunno, quando con le prime piogge, dopo il caldo torrido e la siccità estiva, si ripresentano condizioni di temperatura, umidità e lunghezza di ore di luce e di buio simili a quelle primaverili.
…E allora buona raccolta a tutti !
Scritto da: Laura dell’Aquila
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